sabato 7 ottobre 2017

Sono in piedi

Martedì mattina, sono sul mio secondo autobus della giornata. Sono già le 9 di mattina e sono in ritardo per la lezione di psicologia clinica. L'autobus era in ritardo di 20 minuti e per questo è pieno di gente. Sono in piedi. Si alza una signora con la faccia già stanca, forse per essersi dovuta alzare presto e forse anche stanca di tutta quella gente che ti sta appiccicata. Dovendo aspettare ancora 20 minuti prima di scendere e essendo già stata in piedi in equilibrio per altrettanto tempo, guardo il posto libero che è stato lasciato e che stranamente non è stato assaltato. Nel posto a fianco è seduto un signore, penso abbia 40 anni. Ha la faccia imbronciata e quasi rabbiosa che mi spaventa un pò, ma d'altra parte è la stessa faccia che credo di avere addosso anche io stamattina. Decido di non sedermi e mi sento in colpa per questo. Vorrei poter dire che non mi sarei seduta comunque ma in cuor mio lo so che il vero motivo è che quel signore sembra essere pakistano, indiano, o comunque di un posto molto lontano. Mi rendo conto che forse non sono stata l'unica a fare questo tipo ragionamento. Alla fermata successiva sale una signora musulmana con un bambino che avrà avuto 5 anni. Il bimbo si siede di fianco a quel signore che per me avrà sempre il volto del mio pregiudizio d'ora in poi. Lui si gira a guardarlo sfoggiando un sorriso pieno di affetto e io piano piano inizio a sentire sempre più forte il senso di colpa per essermi fermata anche solo un secondo a pensare se sedermi o meno. 
Il giorno prima durante la lezione di pedagogia interculturale si era parlato proprio della grande maggioranza di popolazione straniera sull'autobus. Avevo ascoltato e compreso ragionamenti sul pregiudizio, sull'importanza di non giudicare nessuno solo in base a stereotipi della nostra società, ma adesso che ero chiamata all'azione avevo fallito. Mille pensieri si accavallano nella mia mente. Se quell'uomo fosse stato davvero una "brutta" persona avrebbe sorriso a quel bambino? Se mi fossi seduta avrebbe  fatto davvero qualcosa che mi avrebbe messo a disagio? ma soprattutto: perché dovrei avere paura a sedermi di fianco a chiunque sull'autobus? Come sono arrivata a questo punto? 
Con che coraggio oggi parteciperò alla lezione di pedagogia interculturale? Quasi ogni giorno mi capita di fare questo ragionamento e anche se mi riprometto di cambiare, di farlo, di sedermi c'è sempre qualcosa che mi blocca, che mi spaventa. Penso sempre che il giorno in cui smetterò di avere paura e riuscirò a sedermi, o a passare in mezzo a un gruppo di ragazzi stranieri senza avere paura di incrociare i loro sguardi mi succederà qualcosa di brutto. Questo è il momento in cui capisco che in realtà la mia paura è quella del modo in cui gli altri possono interpretare atteggiamenti che a me paiono normali. Per questo sono contenta ogni giorno di andare a lezione per imparare a conoscere, a conoscerli, a capire quale sia il modo giusto per fare le cose e odio dover prendere 4 autobus al giorno per andare e tornare, ma mi rendo conto che è proprio dal viaggio che inizia la lezione. 

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